Aserejè ja de jè de jebe tu de jebere sebiunouva majabi an de bugui an de buididipi. No, non sto scrivendo in qualche antichissima lingua di sconosciute origini ma sto vivendo un deja vu. La stessa cosa che mi è capitata giocando all’avventura grafica della LucasArts… Ops, lapsus freudiano, volevo dire Animation Arts.Ricordate quando dicevo che un’avventura grafica per essere bella non deve copiare Monkey island e cercare in ogni modo di citare Indiana Jones? Beh, qui siamo davanti ad un’operazione in bilico tra il plagio più palese e l’evidente citazione. La mia interpretazione è che questi programmatori siano cresciuti tra le avventure Lucas, da cui ne è derivata la necessità di dare un seguito alla saga di Indiana Jones, maltrattata non solo al cinema ma abbandonata anche nei videogiochi, dove le uniche due recenti incarnazioni hanno voluto ricalcare Tomb Raider invece di ricordare al mondo chi è venuto prima. Lost Horizon è effettivamente in tutto e per tutto un clone di Indiana Jones. Il protagonista non è archeologo e si chiama Fenton, ma a parte questo la struttura narrativa, i personaggi, l’ambientazione, lo stile e i dialoghi sono assolutamente ricalcati dalla trilogia, senza alieni, del più famoso uomo col cappello. Sto parlando quindi di una storia incentrata su qualcosa di mistico e esotico, costruita con la struttura:
– I fottuti nazisti vogliono la chiave per un potere incredibile
– Il potere incredibile è custodito da migliaia di anni da qualche minoranza etnica
– Il protagonista si ritrova involontariamente e forzatamente invischiato negli intrecci
– Per non permettere ai Nazisti di conquistare il mondo bisogna batterli sul tempo nella ricerca del “luogo misterioso”
– I nazisti son più furbi e ti lasciano fare il lavoro difficile minacciando di uccidere la femmina di turno se non fai quello che dicono
– Il terzo reich fallisce nuovamente per l’eccessiva ambizione
Questo il succo della storia. Niente di nuovo, ma non possiamo nemmeno lamentarci poiché tutte le migliori avventure della storia hanno la stessa struttura. Ciò che invece destabilizza è la sensazione di giocare ad un fan game di Indy, dove una storia molto bella e intrigante viene poco originalmente sviluppata in ambientazioni ben vicine a quelle delle pellicole e dei giochi del nostro archeologo. Sto parlando di un inizio in un bar orientale, da cui si fuggirà con un aeroplano portandosi via la ragazza, come ne “Il tempio maledetto”. Nel viaggio, il cui tragitto sarà evidenziato da una riga rossa in movimento su una cartina, l’aereo precipiterà e ci si troverà costretti a infiltrarsi nel campo nemico (vedi “i Predatori”). Il viaggio proseguirà a Berlino e in un castello nazista (vedi “Ultima crociata”) per poi terminare nella città incantata il cui potere è troppo per la mente umana (vedi “Predatori” e “Teschio di cristallo”, ma anche e sopratutto “Fate of Atlantis”).
Piacere, Fenton. Vendo queste belle giacche di pelle! |
Dal punto di vista tecnico siamo davanti a un titolo ben realizzato: la grafica, a parte qualche primo piano, è ottima e i fondali stupendi. Il gioco è molto semplice e si finisce in poche ore senza intoppi e senza noiose ricerche del pixel nascosto da cliccare. Gli enigmi sono banali ma almeno non gratuiti e la necessità di muoversi da una direzione all’altra continuamente per completare una missione non rimane straziante poiché ogni capitolo non contiene più di 3/4 location. Ne deriva quindi l’impressione di essere davanti ad un prodotto evitabile. In realtà, però, è bellissimo lasciarsi trasportare da una storia dal dna così facilmente decifrabile. È come guardare una puntata di Dr. House: sai già a cosa vai incontro, sai come è strutturato l’episodio e sai bene a che minuto si risolverà il caso, ma la guardi lo stesso perché l’alchimia di tutti gli elementi è così ben amalgamata da risultare vincente anche dopo 7 stagioni. Allo stesso modo i blocchi narrativi di Indiana Jones sono vincenti e questo gioco ne approfitta.
Se mi fai venire mi lascerò conquistare da te prima dei titoli di coda! |
La stessa sensazione di deja vu l’ebbi giocando a Jack Kane, ma il risultato finale fu molto meno efficace, proprio per i poco azzeccati tentativi di allontanarsi in qualche occasione dallo stile di Indy per abbracciare quello di Monkey island, meno serioso e più pacchiano, quindi inadatto all’affrontare temi mistici.
Lost Horizon pur non lasciando niente, rimane un’avventura meritevole e gustosa, che spremendo tutti i capitoli di Indiana Jones ne coglie il succo dell’intrattenimento e lo fa suo (qualcuno ha detto “LA MUMMIA”?).