NOSTALGIA LUCAS: Indiana Jones and the Fate of Atlantis

Negli episodi precedenti: dopo aver giocato ai due Monkey Island con passione e interesse, provai a rivivere le gesta del mio eroe preferito, Indiana Jones, nelle due incarnazioni videoludiche de L’ultima crociata, scoprendo che prima di Guybrush i personaggi Lucasfilm potevano anche morire o rimanere irrimediabilmente bloccati se tralasciavano qualcosa.

A causa di un livello qualitativo inferiore a MI, l’amore verso il punta e clicca ancora non era sbocciato, ma la passione verso l’uomo col cappello concesse alla Lucas il quarto, importantissimo, appuntamento.L’anno era probabilmente il 1996 e, in un periodo in cui non esistevano ancora YouPorn e simili, il miglior modo che avevo di sfruttare la mia pubertà davanti al computer consisteva nel videogiocare. Era l’epoca del primo IBM compatibile e, a fronte di una spesa importante, mi venne data una consistente gamma di giochi, un po’ riversi su floppy e un po’ su CD-ROM. Già, gli avveniristici CD-ROM.

Ero un grande estimatore e amante dell’Amiga 500, ma prima di passare ai sistemi Microsoft non potevo fare altro che sbavare davanti alla sfacciata prepotenza con cui si presentavano giochi come The 7th Guest, o all’impressionante 3D dei vari Alone in the Dark che mi venivano puntualmente sbattuti in faccia dall’ex compagno di classe più aggiornato di me (che poi sarebbe diventato il più grande retrofinder che conosco).

Per chi gridò al miracolo con Resident Evil

Fortunatamente arrivò anche il mio momento e, davanti a tanto potere tecnologico, non potei fare altro che vantare a mia volta la bellezza di titoli come Rebel Assault, giocato con un vero e proprio joystick analogico, sensibilissimo ad ogni minimo movimento, o di quel mouse trackball che non richiedeva nemmeno lo sforzo di muovere il gomito. Impossibile, poi, rimanere impassibili a quella scheda audio 16 bit che riproduceva niente di meno che LE VOCI.

Era bellissimo… ma immaginatevelo con i platform…

Ora, solitamente dopo tanto entusiasmo appare sempre un ma, o un “la triste verità è che”, ma non in questo caso. Ero, infatti, incredibilmente soddisfatto di quella nuova macchina, e l’Amiga diventò improvvisamente un pezzo da museo, tanto che concessi a mio padre di REGALARLO a mia cugina che, poverina, andava male a scuola, quindi aveva bisogno di un incentivo (un po’ come dare l’eroina al cocainomane per aiutarlo a smettere).

Tra i tanti titoli, c’era anche ‘sto FATE OF ATLANTIS, un gioco che vedeva protagonista il mio eroe preferito dai tempi dell’asilo, che, come già successo su C64 con l’indecente THE LOST KINGDOM, avrebbe affrontato un’avventura tutta nuova. Era lì, coi suoi 5 floppy ad alta densità, pronti per essere installati su hard disk.

La voglia era poca, ma il tempo era tanto, così decisi di provarlo. Ed ecco che a schermo apparirono alcuni dischi grigi con sopra strani disegni, che, suggerendomi delle pagine del manuale da esaminare, mi chiedevano per l’ennesima volta un codice di sicurezza. Fu solo allora che, presentato dal suo famoso motivetto, entrò in scena il mio eroe.

Gli indimenticabili 3 dischi che ti facevano compagnia già dal sistema di protezione

“Maccome? che devo fare? dove sono i comandi?”. Il dubbio di aver sbagliato gioco mi assalì, ma era solo l’ultima trovata della Lucas, che volle farci giocare la presentazione semplificando il tutto con banali richieste di click del mouse.

Solo poche pressioni e finalmente cominciò la storia vera e propria, con l’incontro tra l’amico Marcus, Indy e un nuovo cattivone, pescato ancora una volta dal malvagio terzo reich.

“Dovete sapere che i nazisti cercarono veramente Atlantide, e, come ci dimostrano i cerchi nel grano, lo trovarono in un antico tempio Maya colonizzato dagli alieni!”

Ciò che saltò subito alle orecchio fu l’utilizzo costante dell’iMUSE, come in Monkey Island, con temi completamente inediti per il nostro archeologo. E che temi. Tuttora considero il lavoro di Michael Land una delle migliori colonne sonore di sempre, meglio anche della saga di Guybrush.

Pochi minuti di gioco e uno strano tizio, leggendo un giornale che gli diedi, se ne uscì di scena chiedendosi come fosse andata la partita della Juventus. Cacchio. La Juventus. La mia squadra.

Indiana Jones in bianconero

A quel punto ero preso, coinvolto e desideroso di scoprire cos’altro mi aspettasse. Dovevo per forza andare avanti. Esaltato dall’aneddoto sportivo, decisi di farlo notare a mio fratello, di sette anni più grande, che scelse di seguire le vicende insieme a me, condividendo quella che si sarebbe rivelata per diversi anni la mia avventura grafica preferita.

Il gioco proseguì e la storia si fece sempre più originale, interessante e impressionante. Era diventata una droga. Come rimanere impassibile a personaggi divertenti come il professor Costa, o l’impagabile Trottier? Era tutto perfetto, e, per la prima volta, né io né la persona che avevo accanto avevamo idea di cosa ci aspettasse, ed era imperativo categorico non avvicinarsi nemmeno col pensiero alle soluzioni.

Ciò che non immaginavo era che tutta la storia ricalcava fedelmente e ampliava in maniera plausibile i testi originali di Platone (che poi decisi di studiarmi), rendendo l’oricalco, le descrizioni di Atlantide, l’esistenza di dialoghi perduti e di leggende sulla città sommersa ancora più verosimili delle parole del filosofo greco. Nemmeno i film riuscirono a fare tanto.

Chi non ricorda la puntata di Hercules su Atlantide che è stata trasmessa un milione di volte in tv?

Il gioco mi parve lunghissimo, e il poter cambiare personaggio, oltre al poter prendere strade differenti scegliendo tra enigmi, combattimenti o cooperazione, mi sembrarono un’innovazione incredibile e stupefacente. Quando finalmente vidi la scena finale mi sentii completamente soddisfatto e desideroso di giocare un nuovo capitolo che, ahimè, non arrivò mai se non in mediocri cloni di Tomb Raider.

Finalmente l’amore per le avventure punta e clicca era sbocciato. Niente sarebbe riuscito a separarci. Per rivivere quelle emozioni provai tutti i giochi che mi erano stati forniti insieme al computer, compresi Big Red Adventure, Flight of the Amazon Queen e un tale POMPEI A.D. 79, una strana avventura italiana che non ritrovai più (tuttora in internet sembra non essere mai esistita). Mi innamorai anche di altri punta e clicca con visuale dall’alto, come Rome A.D. 92, e mi informai su tutto ciò che era filosofia e mondi politeisti romani e greci.

Quando ancora i cloni di Indy erano accettabili

Indiana Jones era riuscito nuovamente a sconvolgere la mia vita, creando in me interesse verso un mondo fino allora sconosciuto.

Nessun gioco prima era riuscito a penetrare così profondamente nel mio animo, e tutt’ora ringrazio quei programmatori, mantenendo sempre la speranza di vedere un giorno un film ispirato a quella fantastica storia.

Nella prossima puntata: Non c’erano più Indiana Jones da giocare, ma la LucasArts aveva un altro asso nella manica, già presente nella mia raccolta di dischetti, questa volta scopiazzati, con sopra un testo che recitava: DAY OF THE TENTACLE 1 di 7.

BONUS ALTERNATIVA:
Come per The Last Crusade, anche da questo capitolo venne ricavato un fumetto (la prima immagine del post) e un indecente gioco d’azione con visuale isometrica, a cui saggiamente decisi di non dedicare più di un paio d’ore. Vi prego di notare quanto sia agghiacciante lo stravolgimento del motivetto principale e come venga bruciata mezza storia in poche immagini tra l’altro mal disegnate:

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